Quando ho scoperto di essere introversa
Il due gennaio è il World Introvert Day, una ricorrenza pensata per mettere in luce l’importanza dell’introspezione, della tranquillità e della riflessione in una società che tende a valorizzare l’estroversione. Così oggi ho deciso di recuperare un post che ho scritto qualche anno fa, durante il mio percorso di formazione al master in coaching.
Da allora, molte cose sono cambiate nella mia vita, soprattutto a livello professionale: sono diventata coach e mi sono messa in proprio. Tuttavia, rileggendo quanto avevo scritto, mi sono resa conto di quanto queste riflessioni personali possano essere ancora attuali e forse utili a chi si trova a scoprire la propria introversione, per viverla come un punto di svolta.
Quando ho scoperto di essere introversa è stato per me importante, mi ha permesso di riconoscere e apprezzare alcune caratteristiche uniche della mia personalità.
Spero così che chiunque si ritrovi in situazioni simili a quelle che vivevo all’epoca, possa trovare nel racconto della mia esperienza spunti di riflessione e consigli pratici per vivere al meglio e sentirsi più in connessione con la propria natura.
(Nota: questo mio post appare originariamente sul blog di Accademia della Felicità nell’aprile 2016, con il titolo “Oddio, sono anch’io un’introversa”; oggi è stato in parte rivisto per la nuova condivisione)
Quando ho scoperto di essere introversa? Solo recentemente, nonostante la mia non tenera età.
Non che prima non lo fossi, ma semplicemente non ne avevo la consapevolezza. Ho sempre, erroneamente, pensato che essere introversi fosse sinonimo di essere timidi. Il primo giorno del master in coaching, quando mi sono presentata alle compagne e compagni di percorso, dissi proprio: “Sono timida e introversa”. Con questo uso inconsapevole del termine, mi sono ritrovata nel team “introversi”.
Col passare del tempo, però, ho pensato che il nome del team meritasse un bel punto esclamativo alla fine, così: “Introversi!” Sì, perché ho scoperto che le persone introverse sono toste e capito un sacco di cose su di me.
Introverse e introversi avvertono un calo di energie dopo aver socializzato e le possono ritrovare trascorrendo del tempo in solitudine. Ciò è in gran parte dovuto al fatto che il cervello delle persone introverse risponde alla dopamina in modo diverso rispetto al cervello di quelle estroverse. L’introversione non è un difetto o un disturbo ma un tratto della personalità che ha molti punti di forza, come la riflessione, profondità nelle relazioni e la creatività, tanto per citarne alcuni.
Quasi mi vergogno a non aver consultato prima un vocabolario per scoprire il vero significato del termine. Ma, meglio tardi che mai! Ora capisco perché quando andavo alle feste non vedevo l’ora di tornare a casa e dicevo al mio fidanzato di allora:
“Perché non riesco a fare la simpatica? Ad essere al centro della scena? A ridere delle battute che fanno ridere tutti? Perché mentre tutti si divertono io me ne voglio andare?” Lui mi guardava basito senza risposta.
Intendiamoci, non è che non mi piacessero le feste. Solo che,
o ballavo tutta la sera (ma la musica doveva piacermi),
o trovavo un gruppetto con cui chiacchierare,
o, a un certo punto, mi stampavo un sorriso di circostanza e osservavo così gli altri divertirsi mentre io desideravo solo confondermi con la tappezzeria.
Il lavoro e la vita quotidiana
La vita da pendolare comprende l’utilizzo di mezzi di trasporto pieni, pienissimi di umanità. Gente che, soprattutto la mattina, sembra aver mangiato una radio a colazione. E poi via, al lavoro in segreteria, dove ho un ufficio aperto in mezzo ad un corridoio di transito verso altri uffici. Quando non sono in segreteria, lavoro al front office al pubblico in una biblioteca. Una biblioteca che non è a scaffale aperto, i libri non sono esposti e bisogna cercarli online e recuperarli fisicamente. Sono circa trecentomila libri.
La sera arrivo a casa e sono uno straccio. Per fortuna ora so perché. Ed è importante perché sapendolo posso spiegare a chi convive con me perché all’arrivo a casa me ne sto un po’ in camera per conto mio o mezz’ora in vasca da bagno. Non è un problema personale, è una necessità di ricarica.
Strategie di sopravvivenza al lavoro
Al lavoro non è semplice, ma è necessario trovare trucchi per rallentare l’esaurimento dei livelli di energia e aumentare la velocità di ricarica. Devo dire che alcuni di questi espedienti li avevo già messi in pratica “spontaneamente”, ben prima di riconoscere di essere introversa.
Spesso è il nostro corpo, la nostra testa, a dirci come fare. Ad esempio, ho sempre preferito fare la pausa caffè da sola, evitando di uscire con le colleghe. Le scuse usate vanno dall’intolleranza al caffè, al periodo di depurazione, al mal di testa o alla telefonata da fare. Ma anche confessare esplicitamente che si ha bisogno di staccare un attimo e di prendere una boccata d’aria o di stare in silenzio può essere utile.
Quando lavoro in segreteria la cosa che mi crea più ansia è la mancanza di confini: essendo in una scrivania centrale in uno spazio aperto, devo crearmi una privacy immaginaria. Le cuffie possono rivelarsi un segnale visivo importante ma, certo, non sono sempre usabili. In alternativa, nascosti dai capelli, uso i tappi per le orecchie. Alla peggio, del cotone: spesso basta anche quello.
Quando poi si è veramente sopraffatti dalle persone intorno a noi, è meglio alzarsi un attimo e lasciare lo spazio. Fare una passeggiata intorno all’edificio, bere una tazza di tè, trovare un angolo tranquillo, al massimo anche nascondersi in bagno per qualche minuto, può servire. Quattro passi e un po’ di aria fresca sono spesso meglio di ogni altra cosa per riprendere fiato prima di tornare a lavorare in mezzo alla calca.
Se non ci si può alzare, ci si può aiutare con piccoli accorgimenti, ad esempio prendendo qualche respiro profondo, chiudendo per pochi minuti gli occhi concentrandosi su qualcosa di piacevole (un colore, una foto), ascoltare una canzone. Anche app per meditare in cinque minuti: non le escluderei a priori, anzi.
Quando lavoro al pubblico il problema maggiore è la necessità di dialogare con l’utenza. Il rapporto 1 a 1 è di solito molto piacevole, ma spesso capita di essere travolta dall’arrivo di più persone insieme e di dover rispondere a chiamate e richieste, tutte subito e senza ordine, dirette e al telefono (perché il telefono suona sempre mentre stai facendo altre sei cose contemporaneamente).
Anche qui la sopravvivenza non è semplice, ma si dice che gli introversi hanno modi per chiudere una porta anche quando non c’è una porta fisica da chiudere. Cerco il più possibile di concentrarmi su una cosa e una persona per volta. Se non ho finito un’operazione, rimango con lo sguardo fisso al computer: questo serve a “dare un tempo” a chi è davanti a me che così capisce quando è il suo turno. Concentrarsi su quello che si sta facendo, in quel preciso momento – è utile e da apprendere, esercitare e affinare.
Gestire l’utenza difficile quando si lavora al pubblico
Nel lavoro al pubblico capitano talvolta persone più difficoltose da gestire, soprattutto quando chi hai di fronte non è gentile. Spesso non se la stanno prendendo direttamente con te, ma col ruolo che stai svolgendo, e averne consapevolezza un po’ aiuta. Immaginare di essere l’altra persona, pensare che magari hanno bisogno di parlare con qualcuno, giocare di empatia, in alcuni casi può essere già una soluzione.
Quando la gentilezza non basta e i nervi sono messi a dura prova, parlare direttamente a colleghe, colleghi o superiori, con sincerità, talvolta può rivelarsi una soluzione inaspettata. Magari spiegando la situazione, dicendo che si ha bisogno di un po’ di spazio o tempo in più per la ricarica. La condivisione è importante per dissipare lo stato di pressione. Se poi nessuna o nessuno di loro è disponibile a farvi da rete di supporto, beh, può capitare.
Ma allora forse è il caso di fare qualche valutazione: non su di noi, ma sull’ambiente di lavoro in sé.
(Fonte immagine: 愚⽊混株 Cdd20 da Pixabay)