Iniziare a fare qualcosa di nuovo

È andata così (o dell’iniziare a fare qualcosa di nuovo)

Si dice che partire è un po’ tornare.
Nel mio caso, tornare era riprendere da dove mi ero fermata per paura. Di iniziare a fare qualcosa di nuovo, di non trovare le parole giuste, di non essere capace, di non fare bene. Chi più ne ha più ne metta.
Quindi di fatto dovevo ripassare dal via e trovare il coraggio per raccontarmi.

 

È andata così e ora comincio il mio blog.

 

Durante questa permanenza obbligatoria globale causa Covid-19, mi sono ritrovata davanti agli occhi alcuni aspetti della mia vita che prima era magari semplice spostare e nascondere, a mo’ di polvere sotto il tappeto.
Non potevo più nasconderli: era arrivato il momento dell’esame di realtà.

Il corpo e la mente chiedevano di dare loro attenzione.
Ho scelto di partire dal fisico e, seppure nei limiti casalinghi o dei 200 metri imposti, cercavo di fare movimento per stancarmi e dormire un po’ meglio.
Ma, anche se cambiare la fisiologia era comunque servito, perché mi era chiaro che il corpo si sentiva meglio con l’azione, appena toccavo il cuscino continuava a partire in automatico un andirivieni di pensieri, un lavorio di preoccupazioni alle quali reagivo senza trovare controllo e in una maniera che mi sembrava persino esagerata.

 

Le mie paure mi chiedevano di prendere atto che c’erano, di fermarmi ad ascoltarle.

 

Magari parlare anche un po’ con loro.
Accettata l’insonnia – tanto, non dovendo uscire, la sveglia era prorogabile – mi sono data l’occasione per affrontare la questione.

Le emozioni sono dei messaggeri che ci consentono di fare un controllo: dall’osservazione e dall’ascolto si può decidere cosa fare in risposta.

Cosa mi faceva paura? Come si chiamava, cosa aveva da dirmi su di me, sui miei bisogni, sulle mie priorità? Perché cercavo sempre di evitarla, quanto doveva essere così terribile da farmi accontentare di rimanere ferma ed insoddisfatta?

Tra una domanda e l’altra sul cuscino, immersa nel buio notturno, sono arrivate immagini della mia vita, riferite a situazioni in cui dovevo saltare.
E fra queste, una scena nitida, di me piccola, dove avrò avuto otto, nove anni. Ero in piscina con i miei e gli zii e guardavo chi si tuffava dalla piattaforma. Tutti in coda e poi..via e giù, chi con un tuffo impeccabile, chi con stili più improbabili. Veloci. Da distante non sembrava difficile. Ho deciso di provare. Ma, una volta lassù, tutto appariva alto, altissimo, così alto che mi sono messa a lato, ferma, e facevo passare gli altri avanti a me. Chiamavo mio zio chiedendogli se buttarmi o meno.
“Vai”
E rimanevo.
“Buttati”
E rimanevo.
“Forza”
Ferma lì.
Non ricordo nemmeno se poi mi sono buttata. Chissà. Ma quello che ricordo benissimo, ahimé, è quella lunga estenuante esitazione. Anche per lo zio.

 

E ora a cosa stavo rinunciando?

 

Ehi, non è stato facile l’ascolto di queste lunghe notti di lockdown. E neanche così immediato.

La paura chiedeva un nome. Ne sono venuti fuori una serie, alcuni li ho elencati all’inizio di questo post. Poi, dopo il nome, ho potuto fare delle scelte. E una è stata quella di iniziare a fare qualcosa di nuovo: raccontare il mio sguardo nel mondo. Partire e provare nuovi strumenti per la cassetta degli attrezzi e condividere quello che mi è stato o che sarà utile.

 

Prendo coraggio e scelgo le parole, per connettermi con te, con gli altri, con il mio lavoro di coach e con la mia vita.

 

Comincio con il blog e con questo capitolo: se ti è piaciuto, ti invito a scoprire chi sono qui e ti aspetto per i prossimi.
Ho preso lo slancio e il racconto va a continuare.

No Comments

Post a Comment